.:.

I giovani psicologi sono clientelari?

di Federico Zanon e Luigi D’Elia |

Cliente è una parola che proviene dall’antica Roma. Clientes erano persone subordinate a un patrono che offriva loro protezione, assistenza giudiziaria e distribuzioni di cibo e denaro. In cambio gli procuravano voti alle elezioni e si arruolavano per lui. Il rapporto clientelare era ereditario, consacrato dalla pratica e dalla legge. Intere comunità divennero clientes dei generali romani che le avevano conquistate. Clientelismo si definisce ancora oggi la pratica per cui gruppi di cittadini elettori sostengono personaggi politici ottenendone favori, in una rete di reciproci interessi.

Queste note, tratte dal Dizionario di Storia della Mondadori, fanno luce su un fenomeno che forse riguarda anche la nostra professione.

Inutile girarci intorno: il clientelismo è l’ossatura dell’Italia, il modello organizzativo della nostra nazione. Impariamo il clientelismo come impariamo che il pomodoro è buono e le cavallette non si mangiano.

Osserviamo il modello del partito berlusconiano e la pantomima delle primarie: s’è sviluppata attorno alla commedia di un ‘giovane’ segretario e dei suoi vari portavoce e portaborse, apparentemente dotati di una propria decisionalità. Ma basta la parola del patrono, che gestisce realmente la rete di interessi e poteri, e vengono tutti scavalcati d’emblée. Al patrono è riconosciuta l’unica e autentica capacità di generare, creare, decidere. E’ il capofamiglia a cui sottostare in un costante mimo del rapporto padre-figlio. Il patrono è l’unico ad essere davvero genitale e l’unico autorizzato ad esserlo. L’unico fallo dotato di sacralità. Tutti gli altri sono una emanazione riflessa di quella fonte sacra. Quali nefandezze abbia compiuto, quale incapacità abbia mostrato, non ha rilievo nella logica clientelare. Il valore delle opere e delle idee è il fattore meno rilevante.

Sull’altro fronte politico, si recita in fondo una commedia analoga: nello stile arrivista e conflittuale del giovane candidato premier si replica e conferma comunque un modello paternalistico e clientelare, con la differenza che il patrono è il padre che l’adolescente deve abbattere per dimostrare di esistere in modo separato. Ancora una volta, nella nuova generazione non vi è alcuna generatività, intesa come capacità di assumere per se stesso il ruolo di adulto e per i cittadini il ruolo diligente del buon padre di famiglia. Anche qui la logica non è creativa, ma screditante: è una banale scalata al potere attraverso il discredito del patrono, gareggiando sui centimetri fallici. Un patrono che in questo caso è vecchio e debole, non un leader carismatico ma il possessore del totem familiare. Una famiglia interpretata da una classe dirigente piuttosto conservatrice. Nel tentativo di negare il modello clientelare e di candidarsi a portatori di un nuovo vento democratico, si è ricaduti implicitamente nel medesimo schema: la creatività e la leadership che si vuole non è la propria, ma quella del patrono a cui ci si vuole semplicemente sostituire. L’unica storia che si pretende di continuare è quella della propria ‘famiglia di origine’, fondata in un tempo e in un luogo così mitizzati da essere irripetibili.

Anche nella nostra categoria, come ovunque, esiste il clientelismo. Nei territori presidiati da interessi e privilegi storici, tramandati per via di successione ereditaria, troviamo clientelismo. Nelle posizioni consolidate e prestigiose, a volte conquistate attraverso lunghi anni di lavoro e a volte no, si disegna la tragedia clientelare. Ma il clientelismo che si basa sul potere acquisito dopo una lunga e faticosa carriera è forse più mefitico nelle esalazioni che produce.

Nella durezza delle carriere baronali, il baronato trova la giustificazione più potente per sottoporre i giovani psicologi alla dura gavetta del clientelismo. Le due leve che permettono questo robusto movimento sono il senso di colpa e il senso di inadeguatezza.

Il senso di colpa dei giovani psicologi poggia sull’implicito messaggio: ‘per quanto tu faccia, avrai fatto sempre meno di me’. Un messaggio che non può essere falsificato, se non altro per il dato inoppugnabile del tempo.
Il senso di inadeguatezza poggia invece sul messaggio: ‘per quanto tu impari, non arriverai mai a sapere, perché il vero sapere viene da maestri che tu non potrai conoscere. Quante volte sentiamo l’espressione “è stato allievo diretto di…”? Il qual maestro è stato a sua volta allievo diretto dei primi pensatori della nostra professione. Ma se del nonno si può ancora vantare la benefica influenza ricevuta, lo stesso non si può dire per il bisnonno.

La conseguenza del senso di inadeguatezza è la formazione continua scollegata da un reale aumento di produzione. Una formazione a cui spesso gli psicologi si sentono tenuti al di là del bene e del male. Un concetto di formazione che ha tutti i canoni dell’asimmetria dell’aula, e nessuno dei canoni della formazione dell’artigiano. L’artigiano impara lavorando e se ne va dalla bottega non appena avverte di saper produrre senza più bisogno di guardare come produce l’altro. Tutta la formazione continua successiva proviene dal rapporto con il mercato, e l’acquisto di prodotti formativi avviene in una logica decisionale che non poggia sull’inadeguatezza ma sulla produzione.

Università, Servizio Pubblico, Sindacato, Ordini, ENPAP, Scuole di Specializzazione, sono luoghi istituzionali dove il privilegio acquisito spesso affonda le radici in tempi lontani e ormai leggendari, nell’epoca della penuria di psicologi, dei concorsi che andavano deserti, degli imbucati con laurea in lettere. Parliamo di un tempo che sembra remoto, e invece si colloca fra gli anni ’80 e gli anni’90. Parliamo di una miriade di nicchie di piccoli o piccolissimi poteri, socialmente ininfluenti e del tutto improduttivi dal punto di vista del bilancio sociale e civile. Eppure, centri gravitazionali che anche oggi non mancano di sviluppare quella logica clientelare ed asimmetrica tipicamente italiana.

Ma c’è altro, nella nostra professione. In Italia, il modello di società clientelare e paramafiosa cattura e ingabbia le ultime generazioni di professionisti psicologi con la terza via, illusoria: la speranza. Asfissiati da una densità demografica assurda, da una concorrenza spietata e da una crisi economica stordente, stretti da bisogni primari, i giovani psicologi scivolano sempre più facilmente nella tentazione di adeguarsi a tale modello sociale. Molti colleghi anche promettenti, scelgono di accodarsi alla moltitudine che affolla il lungo sentiero del pentimento, dell’inadeguatezza e della colpa. Con la speranza che la lunga penitenza li porti ad essere parte di qualcosa, ad avere il proprio pacchetto di viveri e di protezione.

Ed ecco il proliferare di fedeli allievi più o meno affamati e pronti a tutto, a caccia di un patrono che non li tratterà mai come colleghi, al quale poter chiedere luce riflessa e bricioline. Privi di ogni speranza di poter incidere nel proprio destino, non riescono nemmeno più a concepire l’idea di essere portatori di una propria autonoma generatività, di poter creare dignitose posizioni professionali basate sulla costruzione di proprie reti professionali e di una propria personale utenza.

Invece di investire nella propria identità professionale e nella propria intraprendenza, creatività, iniziativa, si preferisce l’ingannevole scorciatoia del mettersi nella scia di qualche baronetto più o meno carismatico, più o meno rassicurante, più o meno influente. L’attesa, il più delle volte fiabesca, è di ottenere da lui un luminoso futuro nel ruolo di imbucato in una delle inutili istituzioni che presidia.

La tendenza a dare troppo credito ai rapporti affiliativi e familistici, basati su una confusione fra lavoro e bisogni affettivi, perpetua così all’infinito il mantenimento della posizione del figlio, che deve rispetto, riconoscenza, subordinazione. La ricaduta è quella di non consentire alcun ricambio fra generazioni.

Sul piano scientifico, il clientelismo si manifesta con la devozione alle idee altrui, opposta alla creativa ricerca di ipotesi nuove che portino alla falsificazione delle precedenti. Il modelli teorici si perpetuano nel contesto di una scienza noiosa, concepita come consenso, accordo, verifica di ipotesi esistenti, piuttosto che come fertile ricerca di nuove e diverse ipotesi.

Sul piano professionale, il clientelismo diviene tendenza a replicare piuttosto che a produrre qualcosa di nuovo. Si riutilizza il prodotto di altri per fabbricare sottoprodotti. Spesso, questi sottoprodotti sono così privi di un reale valore, da aver bisogno di una intensa materialità per giustificare la propria esistenza. Il fiorire di tecniche sempre più metodiche ed ossessive, di protocolli sempre più precisi e di iniziative’ sempre più ‘utili’ e ‘concrete’ è il culmine dell’inadeguatezza nei confronti del patrono.

Un siffatto modello organizzativo è perdente. Prefigura una totale stagnazione e la mancanza di spirito fondativo e creativo. Si perde fiducia nelle proprie capacità, si smarrisce il senso dell’utilità sociale del proprio agire, e al posto della costruzione si preferisce l’adesione acritica e sterile ai poteri costituiti.

Ho 37 anni, due figli, sono laureato in Psicologia e in Filosofia e per mestiere faccio lo psicologo. Anche se la psicologia mi piace, non sono mai riuscito a considerarla una metafora completa per i bizzarri fatti della vita. Per questo mi piace interessarmi di tutto quello che mi attrae: filosofia, economia, arte, cucina, letteratura di viaggio. Da circa un anno tengo un blog sulla previdenza: presa dal verso giusto non è affatto noiosa, ma è una buona finestra da cui osservare i fatti del nostro paese. Il mio profilo su Elezioni ENPAP: http://www.elezionienpap.it/federico-zanon/ Blog: www.federicozanon.eu Twitter: @federicozanon
Category : Blog.
« »

Commenti

One Response to %2$s

  1. Pingback: Intervisione sulla clinica di coppia: un altro confronto è possibile | AP lombardia

  2. Pingback: La psicologia è spacciata? | AltraPsicologiaAltraPsicologia

Rispondi a Miriam Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *