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La delicata arte della politica professionale

Vorrei qui scrivere di “politica” cominciando dall’etimologia: “arte di amministrare la cosa pubblica”. Da appassionata di musica mi evoca fantasie su creatività, tecnica, impegno, espressione, comunicazione, condivisione.

Ma poi: la “cosa pubblica” di uno psicologo che cos è?

Il mondo della politica professionale è spesso difficile da comprendere per chi non se ne interessi direttamente: culturalmente noi psicologi siamo poco abituati ad occuparci di questo tema. Svolgiamo una professione molto giovane – sono trascorsi solo 24 anni dalla nostra legge istitutiva -, e la composizione poliedrica della nostra attività, unita all’eterogeneità di formazioni e ambiti di applicazione, rende il collega medio piuttosto individualista e solo moderatamente fiducioso dell’istituzione. Abbiamo ancora parecchia strada da percorrere per costruire un senso di appartenenza che sia diffuso e sentito, a partire innanzitutto dal semplice incontro con altri colleghi. Si tratta infatti di un movimento che è allo stesso tempo faticoso e necessario, all’interno del quale la politica si colloca come un’area potenzialmente molto feconda, in cui c’è grande spazio per la creatività, per il coinvolgimento personale, per la valorizzazione della specificità della professione di psicologo. Con lo scopo, tra gli altri, che lo psicologo sia riconosciuto come tale, e non più confuso con medici, sacerdoti, maghi o compagni di serate al pub.

Occuparsi di politica in senso generale significa infatti dedicarsi, a qualunque livello, al bene della professione, lavorando secondo i principi deontologici, facendo rete con i colleghi, promuovendo la qualità della nostra professione, chiedendo in modo propositivo agli enti appropriati di cautelarci e sostenerci.

Mi piacerebbe poter paragonare il lavoro di ogni psicologo, dentro la propria comunità professionale, al canto di un coro: ciascuno è responsabile di ciò che canta, deve prepararsi e studiare, impegnarsi per cantare nel modo più consono al perfezionamento delle proprie capacità, e potrà essere tanto o poco dotato, in forma più o meno smagliante, ma alla fine il risultato dell’amalgama della voci è incommensurabile con l’individualità singola. Meglio fa il singolo, più lavora anche per mescolare la propria voce a quella degli altri, migliore sarà il risultato: valorizzerà e coltiverà la propria arte, godrà per sé, per il coro e per il pubblico. Mi ricorda il nostro lavoro: professionista, collega e utente, proprio come nel nostro codice deontologico.

Molti amici mi chiedono del mio lavoro da “politica”, e tanti colleghi cercando di trovare un modo per farsi coinvolgere, avendo ben intuito come la nostra comunità professionale abbia molto bisogno di punti chiari di riferimento: formazione, tutela, un modo di fare promozione e difesa della professione.

Tutto questo ovviamente esula, a mio parere, da atteggiamenti che purtroppo ho toccato con mano in questi ultimi mesi: in alcuni ambienti in cui si fa la politica “in senso stretto”, l’aggressione sul piano personale sembra rappresentare per alcuni l’unico modo per affrontare la sostanza delle cose. In mancanza di argomenti con i quali replicare a contenuti consistenti, rimane l’unica via possibile. In questo frangente, e nelle comunicazioni di alcuni colleghi di altri gruppi è emersa a più riprese una questione rilevante: l’impegno concreto viene messo in secondo piano per lasciare spazio a discorsi di matrice ideologica, che poco hanno a che fare con la spinta necessaria a perseguire obiettivi utili per la categoria. L’”opposizione costruttiva” rimane solo un’affermazione autoreferenziale, mentre le emozioni vengono palesate in maniera infantile e atavica: non nascondo un certo stupore nel notare certi atteggiamenti da parte di professionisti della mia stessa categoria professionale.

Proseguo nella convinzione che un gruppo che si riunisce attorno a una matrice valoriale potrà attraversare fisiologici momenti di difficoltà, ma proseguirà.

La politica professionale si costruisce in tanti modi: alcuni si concretizzano all’interno delle istituzioni, ma è l’impegno quotidiano di ciascun singolo professionista a poter rendere la nostra categoria veramente autorevole, e in questo siamo tutti chiamati a spenderci, proprio attraverso la passione con cui coloriamo le nostre giornate di lavoro.

Il periodo “fondativo” della psicologia in Italia è definitivamente terminato, ed è diventato sempre più necessario far fronte a istanze che provengono sia dall’interno – come la promozione della nostra professionalità e la valorizzazione dei nostri principi deontologici – sia dall’esterno – quali ad esempio le possibili conseguenze della legge 4/2013 sul riconoscimento delle professioni non regolamentate – .

Promozione della professione attraverso il rispetto e la valorizzazione dei principi deontologici; sollecitazione delle dinamiche di appartenenza alla categoria, insieme alla tutela della nostra professionalità; costruzione di una sempre maggiore rappresentanza istituzionale.

Sono nata nel 1976 a Milano, dove tutt’ora vivo. Mi sono laureata in psicologia nel 2000, e oggi la mia vita professionale è dedicata prevalentemente all’attività clinica e a quella politico-professionale. Sono psicologa psicoterapeuta ad indirizzo psicoanalitico dell’età evolutiva, e utilizzo anche la metodologia EMDR. Sono Consigliere dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia per il quadriennio 2010-2013 e Consigliere del Consiglio di Indirizzo Generale di ENPAP (2013-2017). Dal 2003 esercito la professione privatamente presso il mio studio, dove incontro prevalentemente bambini, adolescenti e coppie. Mi occupo anche di formazione e sono cultore della materia di Psicologia Dinamica all’Università Cattolica.

Categoria: Blog

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